lunedì 4 ottobre 2010

IL DISCORSO RIVOLUZIONARIO

"Siamo governati da un noto puttaniere che si chiama Berlusconi". A darci la notizia, senza troppi giri di parole, è il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, che in un colpo solo attacca il Presidente del Consiglio del Ministri, omaggia la lingua italiana e augura buon inizio dell’anno scolastico a tanti giovani studenti toscani. Ora, il fatto è che io vorrei provare a difenderlo Rossi. Uno che si sarà sentito come il tizio che invitato ad una cena di gala cerca di attirare l’attenzione dei commensali raccontando una barzelletta sconcia. La battuta finale. Il guardarsi intorno in attesa della risata corale. E sentire soltanto un silenzio agghiacciato ed agghiacciante. Solidarietà al compagno Enrico Rossi. Perché lo si può pure capire. Il Renzi va avanti da mesi a far battute irriverenti sui vice disastri, sui vecchi da rottamare, sulla rava e sulla fava. Ed ogni volta si becca paginate di giornali, inviti in radio e in televisione. E Rossi? Intanto Rossi non è Renzi. Non ha trent’anni. Non ha la battuta pronta. Non ha soprattutto il profilo adatto. Un comunista pisano (per la verità di Pontedera) mal si concilia con lo sloganismo mediatico. Eppure io ce lo vedo Rossi che non intende arrendersi all’idea. Me lo immagino lo sforzo di farsi violenza, fare violenza al proprio carattere, alla propria educazione, alla propria storia. Farlo in nome della necessità di raggiungere lo scopo, perché compagni, noi non ci s’arrende davanti a niente. E allora si mette da parte la paura di sbagliare, ci si tira via il sudore dalla fronte e ci si butta. “Berlusconi è un puttaniere”. Ecco, il danno è fatto. Perché per un comunista pisano la fantasia è un vizio borghese, come potrebbe farsi venire in mente una battuta, non dico originale, ma almeno divertente? E dire che c’avrà pure pensato. Si sarà pure convinto che era carina, che faceva ridere. E così si è sistemato in ghingheri come il tizio che si prepara ad andare alla cena di gala. Si sarà ripassato la battuta a memoria in attesa di poterla sfoggiare. E poi eccolo lì. Ci si può immaginare la scena al rallenty. Lui che inizia ad articolare la frase e tu che sai già dove andrà a parare. Vorresti fermarlo, dirgli che c’è chi nasce biondo e c’è chi nasce moro, che c’è chi sa fare le società della salute e chi sa fare le battute ai giornali, ricordargli c’è chi nasce democristiano a Rignano e chi comunista a Pontedera, che insomma ciascuno deve seguire una strada, ma che sia la propria. Tardi. Troppo tardi. La battuta è finita. Il gelo cala sul povero Enrico. Che adesso dovrà svolgere una riflessione interna al partito per analizzare le problematiche comunicative del discorso rivoluzionario.

venerdì 30 luglio 2010

UNO SCATTO D'ORGOGLIO, UN FUTURO DA COSTRUIRE

Gli effetti combinati della crisi economica, della perdita e della mancata creazione di posti di lavoro, delle misure volte a contenere la spesa pubblica (qualunque saranno alla fine del percorso parlamentare della legge finanziaria), proiettano le famiglie italiane in una dimensione che ricorda gli anni Settanta del secolo scorso. Disponibilità economiche ridotte e priorità di spesa da scegliere, servizi pubblici limitati, specialistiche sanitarie concentrate nei capoluoghi di provincia. Di diverso, rispetto a quegli anni, c’è la mancanza di entusiasmo e di speranza. Allora, un lungo ciclo economico di crescita si stava spengendo ma i suoi dividendi (di reddito, di protezioni sociali e sanitarie, di maggiori e migliori servizi) venivano usufruiti da larghe fasce della popolazione. La società era in pieno cambiamento ma manteneva coese le proprie strutture (la famiglia, le comunità, le aggregazioni sociali e politiche) e condivideva tra le generazioni dei valori di fondo. Rivendicava maggiori libertà ed opportunità all’interno di una cornice di sviluppo ordinato. Tra gli anni ’50 e ’70, inoltre, si era realizzata la più grande mobilitazione sociale della storia d’Italia con la trasformazione di larghissimi settori della popolazione da operai e contadini in impiegati, insegnanti, professionisti e commercianti. Oggi, il panorama è completamente diverso. La crisi economica è anche crisi di sistema, mette cioè in discussione l’intero edificio produttivo, lo stato sociale (protezioni, sanità, sistema pensionistico) l’impianto del nostro sistema scolastico, il funzionamento della burocrazia pubblica, la politica e le istituzioni, l’unità stessa del paese. La società si è frantumata ed individualizzata. La crisi delle rappresentanze (sindacale, di categoria e partitica) sta a dimostrare quanto. Secondo tutti gli analisti, le giovani generazioni avranno minori opportunità dei loro padri e dei loro nonni.
Per invertire la tendenza, per uscire dalla crisi disegnando un’Italia nuova, un sistema più dinamico, con meno corporazioni, privilegi e sacche di ingiustizia economica e sociale, articolato sulla selezione per merito nel campo lavorativo e professionale e capace di garantire volta volta gli individui, le famiglie o i ceti, svantaggiati, occorrerebbe una politica forte. La politica, le attuali forze politiche, più che la soluzione appaiono però parte del problema, dilaniate come sono tra populismo di destra e sinistra, giustizialismo e nullismo riformatore. Occorre uno scatto d’orgoglio e la discesa in campo di tutti coloro che possono e vogliono contribuire a costruire un altro futuro.

sabato 29 maggio 2010

CONFLITTO D'INTERESSE

Nel corso di un’affollata e partecipata conferenza, organizzata a Terranuova Bracciolini dall’Associazione Liberamente, il giornalista del Corriere della Sera Sergio Rizzo ha affrontato, insieme a molti altri argomenti, il tema del conflitto d’interesse, vero e proprio cancro del circuito economico, politico e istituzionale dei tempi moderni. Cancro perché, laddove si annida, produce opacità nelle decisioni, particolarismo e non interesse generale, inefficienza e costi che si scaricano sui cittadini, minando la salute generale del sistema. Il più eclatante dei casi di conflitto d’interesse è senz’altro quello del Presidente del Consiglio Berlusconi, proprietario di un’azienda (Mediaset) che deve gran parte delle sue fortune a concessioni pubbliche e a decisioni governative. Non è però l’unico conflitto d’interesse che è possibile e giusto evidenziare. Secondo uno studio di alcuni anni fa, le grandi aziende e imprese bancarie, assicurative e finanziarie italiane sono in mano ad un numero limitato di persone che occupano i vari consigli d’amministrazione in modo incrociato. Il risultato è la mancanza di concorrenza vera e quindi il lievitare di costi dei servizi al cittadino. E che dire del sistema di gestione dei servizi pubblici? Le società di proprietà degli enti locali dovrebbero essere controllate da organismi (gli ATO) costituiti dagli stessi enti locali. Un sindaco partecipa contemporaneamente all’assemblea della società e a quella dell’ATO. Dovrebbe essere libero di sanzionare, in qualità di controllore, le incapacità di gestione delle società, sanzionando sé stesso in qualità di proprietario. Ci sono poi una miriade di conflitti d’interesse “spiccioli”, dal dirigente d’azienda nominato via politica nell’organismo che dovrebbe controllare l’attività della propria azienda al consigliere comunale, provinciale o regionale, con attività che si legano ad attività dell’ente o a società partecipate, non meno pervasivi e non meno penalizzanti. Quando e perché tutto questo ha cominciato a determinarsi richiederebbe troppo tempo a spiegarsi. L’importante sarebbe aver chiaro che la risoluzione, con norme chiare, del conflitto d’interesse ovunque si verifichi, è la sola possibilità di rendere più trasparente, equa ed efficiente, larga parte del sistema paese.

venerdì 21 maggio 2010

I protagonisti: i giovani valdarnesi dialogano con Giorgio Van Straten

Evento organizzato dal Comune di Bucine, dall'associazione Guido Vestri e da Ticker. Una conversazione tra alcuni membri di associazioni valdarnesi e Giorgio Van Straten, scrittore e consigliere di amministrazione RAI.

venerdì 30 aprile 2010

IL PESSIMISMO DELLA RAGIONE

Varata la Giunta regionale, con tante sorprese e altrettanti mal di pancia, prende il via la nona legislatura regionale. Sarà una legislatura cruciale per il futuro della Toscana e dei toscani. Una legislatura che dovrà caratterizzarsi per un radicale cambio d’impostazione delle politiche pubbliche, reso necessario da un lato dalle difficoltà economiche e sociali, dall’altro dalle incombenti riforme istituzionali e costituzionali, con il corollario di un federalismo fiscale che appare ormai indifferibile. Se l’ottimismo della volontà vuole credere alle suggestioni sin qui alimentate da Enrico Rossi, la ragione vira verso il pessimismo derivante da alcune considerazioni generali. La prima considerazione è relativa al responso delle urne che ha consegnato al neo Presidente una coalizione articolata, nella quale il suo partito di riferimento, il PD, non ha la maggioranza. Le trattative per la formazione della Giunta, caratterizzate dal braccio di ferro (vincente) portato dall’Italia dei Valori, costituiscono l’antipasto di una conflittualità interna destinata ad aumentare. Peraltro, il partito di Di Pietro, Evangelisti e Pancho Pardi, si è assicurato l’assessorato all’urbanistica che fu di Conti, nominandovi un tecnico (Anna Marson) che faceva parte dei gruppi di contestazione al vecchio assessore partendo dalla conosciuta vicenda di Monticchiello. Oltre la più totale sconfessione del recente passato, la nomina prefigura una forte rigidità nella gestione dell’assetto del territorio. Una rigidità che si calerà su un settore profondamente in crisi, e alimenterà un movimentismo nel quale anche la sinistra radicale si ritrova agevolmente. La seconda considerazione parte dalla cifra complessiva della squadra messa in campo. Tre assessori vengono dalla Giunta di Martini, considerata – dallo stesso Rossi - slow e non rock, verrebbe da dire citando Celentano. Tre – Nencini, Scaletti e la Vicepresidente Targetti – non hanno alle spalle esperienze amministrative di sostanza. Uno (Luca Ceccobao) è sindaco di un comune (Chiusi) non propriamente centrale nelle vicende né senesi né toscane. Uno, infine, viene dalla società di consulenza McKinsey. Una manager privata per ottimizzare la sanità toscana che, evidentemente, dopo anni di tagli e accorpamenti, ha ancora bisogno di interventi strutturali. Interventi che non mancheranno di far rizzare le antenne a chi, nel territorio, deve garantire servizi ai cittadini. La terza considerazione è legata allo scontento suscitato dalle scelte di Rossi. Uno scontento che vede in primo piano intere federazioni del Partito Democratico, alcuni maggiorenti del partito, gli alleati di Sinistra e Libertà. Non è azzardato ipotizzare che ai primi incagli si alzeranno venti forti. L’ultima considerazione concerne il Presidente Rossi. Dopo aver vinto ha messo sotto accusa il “fighettismo”, si è messo a citare Gramsci e il vecchio PCI e a visitare Case del popolo. Con tutto il rispetto per la storia gloriosa del PCI toscano, oggi ci vuole ben altro per creare il consenso popolare e dare un futuro alla nostra regione.

mercoledì 24 marzo 2010

VERSO LE REGIONALI: Un passaggio epocale

Una campagna elettorale stanca e poco partecipata che lascia immaginare veritieri gli scenari di forte astensionismo che i sondaggi raccontano. Una campagna elettorale dominata dalle feroci ed immotivate polemiche sull’esclusione delle liste elettorali e i decreti d’emergenza, le intercettazioni e i “giudici di parte”, la scarsa indipendenza delle Autorità indipendenti, gli attacchi al Presidente della Repubblica e le grida sul regime. Anche impegnandosi è difficile capire cosa proponga l’uno o l’altro partito, l’uno o l’altro schieramento. Le elezioni regionali trasformate in uno scontro prettamente politico trasfigurato in scontro ideologico, in una chiamata alle armi delle rispettive truppe. Il populismo più deteriore, quello che domina la scena ormai da diciotto anni, schiaccia ogni razionalità e sovrasta la voce di chi tenta di dare un futuro al paese. La Seconda repubblica che non è riuscita a riformare la Prima si appresta a lasciare il posto alla Terza i contorni della quale sono tutt’altro che chiari. Eppure, mai come oggi sarebbe necessario scegliere sulla base dei programmi di governo. Mai come oggi è forte il rischio che una politica di solo slogan e scontri trascini il Paese in un gorgo senza fine, fatto di incertezze e insicurezza, di minori opportunità e minor benessere. Poco più chiari i contorni della campagna elettorale toscana. Monica Faenzi non sembra sfuggire agli stereotipi tipici dell’armata berlusconiana, quelli stessi che hanno costruito la vittoria della PDL alle politiche del 2008 e che non si sono tradotti in politiche di governo. Enrico Rossi sembra aver chiara la necessità di dare un forte impulso di rinnovamento alle politiche pubbliche per imprimere alla regione la spinta necessaria ad uscire dalle secche nelle quali si trova, ma quali siano le azioni concrete non è facile capirlo. Negli schieramenti che sostengono i due candidati principali non mancano tuttavia le forze che cercano di lucrare voti radicalizzando linguaggi e proposte per intercettare scontento e paure. Una netta affermazione di queste forze potrebbe compromettere già in origine la possibilità di un dialogo maggioranza opposizione su alcune, necessarie, linee di riforma del sistema toscano.
Allo stesso tempo, un passaggio elettorale senza alcuna discontinuità rispetto al passato rischia di frenare anche le migliori intenzioni di rinnovamento.
Il passaggio è di quelli epocali.

giovedì 11 marzo 2010

I protagonisti: incontro con Claudio Martini

Giovani animatori di associazioni e organi d'informazione, dialogano con esponenti politici, culturali, della società, dell'economia.